06 10 2023
Nasce Ago edizioni
di Andrea Crisanti de Ascentiis
Quando nel 2015 ho cominciato a lavorare nell’editoria, non avevo idea che esistessero tutte queste case editrici. Non frequentavo le fiere e non conoscevo le differenze sostanziali tra editoria indipendente e i grandi gruppi milanesi. Avevo ventidue anni e volevo studiare a Bologna, prendermi una camera, fare la vita che fanno gli studenti di lettere. Poi, grazie alle Edizioni di Comunità, ho avuto la possibilità di lavorare durante Più libri Più liberi, a Roma. È cominciata quasi per sbaglio, ho detto sì, ma avrei potuto dire il contrario. Questo non per rievocare garage californiani da cui sono nati prodigi della tecnica e ipod, figuriamoci, parliamo di editoria, ma per impostare quella che è e vorrei fosse la visione di Ago edizioni: uno spazio aperto alle possibilità.
Nell’epoca in cui pubblicare è diventata una postura, una moda per abbellire le proprie biografie e per sentirsi accettati da una società che esclude chi non può permettersi la creatività, scrivere non è mai stato così difficile. Scrivere bene, prendersi il tempo necessario, tradurre un’idea, un concetto, una visione del mondo in letteratura non è più un lusso che gli scrittori possono permettersi. Ci si impiega troppo tempo.
Fino a qualche decennio addietro nella pubblicazione vi erano insiti dei passaggi qualitativi tra chi scrive e l’oggetto libro, riassumibili nel termine editoria, oggi questa capacità di respingere e discernere si è via via affievolita. Il filtro perde, le sue maglie si sono allargate e passa davvero di tutto. Sulle ragioni potremmo scrivere libri – speriamo di no, che noia – ma forse le principali cause del declino sono due: il mercato editoriale si è impoverito e per far fronte a questa crisi cronica del libro si sono inventati escamotage ai limiti della legalità per cui un editore è costretto a pubblicare indiscriminatamente; e poi perché siamo diventati tutti amici di tutti e abbiamo abbandonato il sacro principio della vergogna. Ogni prurito, ogni evento, ogni virgola è, per lo scrittore o la scrittrice contemporanea, assolutamente degno di nota, degno di pagine e pagine, inchiostro e alberi che poi finiranno tristemente macerati per tornare a produrre ancora libri che verranno macerati, sempre più velocemente.
Eppure, non è sempre stato così. L’editoria in Italia ha goduto di un prestigio elevatissimo, erano coinvolti i grandi della letteratura, Cesare Pavese, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia. E tutti quei libri, un tempo pubblicati con successo e capaci di coniugare il risultato economico alla qualità non erano certo il frutto di un complicato gioco alchemico a noi oggi sconosciuto, era semplicemente la conoscenza di un mestiere, la forza della responsabilità, il coraggio di opporsi alle pubblicazioni che non si pensavano all’altezza, forti della fiducia, molto spesso generosa, degli editori. Pensiamo a Bobi Bazlen, probabilmente l’editor più importante del Novecento: immaginiamolo assorto nella lettura di un manoscritto quando qualcuno entra nella sua stanza e gli chiede di trovare qualcosa che fatturi perché con Kafka non si mangia. Impossibile anche solo pensarlo. Per capire la distanza tra il produrre cultura e il venderla, Giulio Einaudi non lasciava mai che si incontrassero l’area commerciale della casa editrice con quella redazionale: riteneva che ognuno dovesse pensare al suo lavoro senza influenze. E allora stanze diverse, giorni diversi delle riunioni.
Può Ago edizioni, ultima ruota di un carro gigantesco, ripercorrere queste vie schivando i proiettili che ne derivano? Forse sì, forse no, ma questa è la scommessa.
Siamo convinti, nel profondo, che i libri belli, siano bastevoli a loro stessi, che la qualità non fa rima con esclusione, ma, al contrario, per dirsi tale deve avere la forza di proporre a tutti la possibilità di leggere un determinato libro. Ci saranno poi diverse letture, ma a chi pubblica questo interessa marginalmente. Il vero obiettivo è restituire alla comunità dei lettori un patrimonio che in questi anni è andato disperso. Pubblicare come gesto pragmatico, come occasione di ricongiungimento tra il lettore e il libro, senza inserire voci fuoricampo, senza inseguire i timidi bagliori di ribalta di questo o quel tale. Seguire una traccia, proprio come l’ago segue il gesso sulla stoffa.
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